Richard Ginori

Richard Ginori chiude? Un pezzo di Italia di qualità che se ne va



La notizia non riguarda il mondo del vino ma poiché è relativa ad una certa idea di Italia di qualità che ha dato luce e prestigio al nostro Paese nel mondo ed è stato simbolo del migliore made in Italy voglio parlarne ugualmente.
Alzi la mano chi non si trova nella propria casa una zuppiera, un servizio di piatti, qualche porcellana firmata Richard Ginori, leader italiano nella produzione di porcellane artistiche. Un gruppo leggendario, forte di una tradizione manifatturiera di oltre 270 anni di storia, un fiore all’occhiello dell’italianità.
Eppure, come si legge incredibilmente in questo articolo del Sole 24ore, “Ieri mattina il tribunale di Firenze ha respinto la richiesta di concordato preventivo presentata nelle settimane scorse dai liquidatori della Richard Ginori guidati da Marco Milanesio, e ha emesso la sentenza che decreta il fallimento della storica manifattura di porcellane di Sesto Fiorentino (Firenze), chiusa dal 31 luglio scorso (314 lavoratori in cassaintegrazione).
Lo stop del tribunale arriva all’ultimo minuto della partita per il salvataggio giocata in questi mesi dal collegio liquidatori che il 14 novembre scorso aveva scelto l’offerta presentata dall’americana Lenox e dalla rumena Apulum (controllata dalla italiana Rodytime) che si erano divise gli asset (il marchio Richard Ginori a Lenox, la fabbrica di Sesto Fiorentino sotto il controllo di Apulum) impegnandosi a riassumere, nel complesso, 280 addetti e a pagare 13 milioni”.
Leggiamo inoltre che “Il fallimento deciso ora dal tribunale, con la nomina del curatore Andrea Spignoli, riapre la porta all’unico altro pretendente di Richard Ginori: il gruppo piemontese Sambonet che fin dalla prima ora è stato in pole position per rilevare la manifattura ma che, dopo la pubblicazione del bando di gara, aveva messo sul piatto solo 7 milioni e la riassunzione di 150 lavoratori, accompagnati però da un dettagliato piano industriale”.
C’è dunque il fondato rischio che Richard Ginori chiuda. O che diventi la pallida ombra di quella cosa bella e gloriosa che è stata. Sono consapevole che in un’economia di mercato se un’azienda non ha i conti in ordine e non viene premiata dai consumatori, che magari le preferiscono marchi meno titolati e prestigiosi, ma meno costosi, non deve rimanere in vita per forza di cose a dispetto dei bilanci e dei santi.
Nel caso di un marchio e di un’azienda come Richard Ginori però esprimo voti che pur rispettando le leggi dell’economia, del risanamento, della razionalizzazione, esistano spazi di manovra e condizioni che consentano a questo simbolo della genialità e del savoir faire toscano e italiano di restare in vita, di non sparire. Richard Ginori è un qualcosa di prestigioso che appartiene al vissuto, all’esperienza, alle memorie di milioni di italiani e di appassionati delle belle cose nel mondo.
E’ un qualcosa come il Brunello di Montalcino (quello bbono, ovviamente), il migliore Chianti Classico (ad esempio lo strepitoso Val delle Corti riserva 2006 che il patron dell’ottimo ristorante barese Le Giare Massimo Lanini, fiorentino in Bari, mi ha fatto conoscere lunedì 7), o per rimanere in Toscana un vino dell’identità e della tradizione come una grande Vernaccia di San Gimignano.
Non si può cancellare Richard Ginori, e si deve fare un tifo sfrenato per il suo salvataggio, la sua salvezza. Manifestiamo per ora la nostra solidarietà all’azienda in grande difficoltà inviando e-mail a questi indirizzi, e inviando lettere di sostegno alla Nazione, a Radio Tre Rai, alla Giunta della Regione Toscana.
E’ un pezzo delle nostre storie, dei nostri sogni, delle nostre emozioni, che non può morire…

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